Il miele scomparso: il miele d’acacia
Ebbene sì, quest’anno il miele d’acacia è praticamente scomparso dai nostri scaffali.
O meglio, il miele che potrete trovare sarà o della precedente annata o ottenuto nutrendo le api con sciroppo, ma sarà molto difficile che possa vantare di essere italiano e biologico.
Il miele funge da nutrimento per le api e, nelle coltivazioni biologiche, quest'anno è stato lasciato alla sua funzione originaria durante il periodo di fioritura dell’acacia.
Il clima tempestoso di maggio-giugno ha rovinato a tal punto la fioritura delle acacie e reso difficile il lavoro dalle api, da far produrre una quantità di miele appena sufficiente per il mantenimento dell’alveare stesso.
L’acacia è un albero molto diffuso nella fascia prealpina e del centro-nord, può raggiunge anche i 20 metri di altezza ma non è specie autoctona.
Fu imprtato dal Nord america all’inizio del XVII secolo dall’erborista di re Enrico VI: Jean Robin. Dal nome del suo importatore deriva il “secondo nome della pianta”: Robinia (Robinia pseudoacacia).
In Italia fu impiantato per la prima votla solo alla fine del XVII secolo, venendo sfruttato prima come pianta ornamentale, poi come pianta per rassodare terreni ed argini, quindi per il suo legno, ottimo da ardere e solo in tempi più recenti per il suo miele.
Miele che è il più conosciuto ed apprezzato nel nostro Paese, così tanto che la produzione interna è insufficinete a soddisfare le richieste. Molto spesso, per accontentare le domande di consumatori ed industrie alimentari, il miele viene importato dai paesi dell’Est Europa (ungheria in particolare) o dalla Cina.
Dai fiori bianchi dell'acacia si ricava un miele con un alto contenuto in fruttosio, che ne evita anche fenomeni di cristallizzazione.
Nella sua forma liquida, il colore è molto tenue: dal giallo piaglierino all’incolore.
Il profumo, infine, e è floreare, leggermente fruttato, mentre il sapore, decisamente dolce, acquista aromi di vaniglia e mandorla dolce.
è l’unico miele di coltivazione nazionale ad avere queste prorpietà di colore, stato fisico , odore e saprore leggeri e delicati.
.... peccato che dovremo aspettare l'anno prossimo per assaggiare la produzione nazionale!
Luca Guizzon
Sopra i 3900 metri sul livello del mare, non sono molte le piante in grado di crescere e svilupparsi.
Eppure, nella cordigliera delle Ande, popolazioni antiche e moderne sono riuscite a svilupparsi e a costruire strutture che ancor oggi lasciano esterefatti (esp. Machu Pichu).
Affianco a strumenti e progetti tecnologici sicuramente innovativi per l’epoca, possiamo immaginare che anche piante autoctone possano aver aiutato Maya e Aztechi.
A queste altitudini, la vegetazione non può che essere composta da piante con scarso sviluppo verticale: ed infatti la pianta in questione ha foglie molto vicine al suolo, fiori piccolo ed una radice tuberiforme.
La pianta che, forse, è stata d'aiuto per le antiche popolazioni andine è la maca (Lepidium meyenii), o ginseng peruviano, e la sua radice, commestibile, veniva e viene utilizzata per le sue proprietà adattogene e ricostituenti.
Nella cucina peruviana, la maca viene soprattutto sfruttata per le sue proprietà nutritive, ma la moderna ricerca scientifica ci permette di evidenziare anche altre prorpietà.
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In agosto, un articolo apparso sulla rivista “Addiction” valutava il ritorno dell’investimento (ROI) di politiche antifumo attivate in Inghilterra.
L’aumento delle tasse sulle sigarette, il divieto di fumare in luogo pubblico, le campagne contro il tabagismo ed il consiglio del medico curante sono tutte politiche che a livello nazionale possono portare a picchi di successo anche del 80%.
Qesti sono interventi che, sebbene possano fungere da “pungolo” finanziaro e, in certi casi, psicologico, non riescono tuttavia a contrastare i sintomi di astinenza che si sviluppano quando un fumatore si astiene dal fumare per più giorni.
In tal senso possono intervenire le terapie con sostituti della nicotina, ed in particolare si possono sfruttare le proprietà di una painta presente anche nel nostro paese: il maggiociondolo.
Da questa pianta, si può estrarre una molecola chiamata Citisina, che attualmente viene venduta come farmaco registrato nei Paesi dell’Est Europa, come terapia anti-fumo.
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Con il temine “probiotici” si descrivono quei particolari fermenti lattici che sono in grado di formare colonie permanenti a livello intestinale.
Tuttavia, gli effetti di questi batteri non si limitano al solo benessere intestinale, ma possono avere ripercussioni anche sull’intero organismo.
Un caso lampante è il trattamento dell’acne.
L’acne è una patologia cutanea che deriva dall’infiammazione del follicolo pilifero e della ghiandola sebacea annessa. In queste sedi la pelle appare più luminosa (per aumento del sebo), con comedoni.
Alla base dei questa infiammazione ci possono essere diverse condizioni: ipercheratizzazione del follicolo pilosebaceo che non riesce più a far fuoriuscire il suo contenuto di sebo; infezione da Propionibacterium acnes; o iperattività della ghiandola sebacea.
Negli ultimi anni vari sono state le molecole che si sono studiate per il trattamento: dalla tretionina, al dapsone solo per citarne alcuni.
In certi casi i dermatologi arrivano a prescrivere trattamenti a base di antibiotici sistemici.
Questo è un trattamento che, a fianco a dei benefici, può portare ad effetti collaterali soprauttto a livello intestinale, dove sterilizza la popolazione probiotica residente.
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