Con il termine “vitamina K”, si definisce in realtà un gruppo eterogeneo di sostanze, identificate nelle verdure a foglia verde, nei semi di cannabis e nel pesce o prodotte dalla flora batterica intestinale, tutte dotate di attività antiemorragica.
È proprio questa loro proprietà che ne ha ispirato il nome: infatti, derivano dalla parola tedesca koagulation (coagulazione). La vitamina K1 (fillochinone) è la forma di vitamina K più presente a livello ematico e che maggiormente introduciamo con la dieta.
Forse non ce lo ricordiamo...ma tutti noi abbiamo avuto una somministrazione di vitamina K almeno una volta nella vita: appena nati. Infatti, è di routine la somministrazione intramuscolare nel neonato per evitare emorragie nei primi giorni di vita.
La vitamina K, che non solo è importante per l’emostasi ma anche per il metabolismo osseo, purtroppo può essere “consumata” dall’utilizzo cronico di alcuni farmaci (esp: warfarin, antibiotici, salicilati).
La vitamina K2 o menachinone è presente nel tuorlo delle uova di gallina, nel burro, nel fegato, nei formaggi. Le due varianti di vitamina K2 più utilizzate nell’integrazione sono MK-4 o MK-7 che, pur avendo come struttura chimica lo stesso gruppo centrale attivo, si differenziano per la lunghezza delle catene laterali.
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Del rimedio Rus tox abbiamo già parlato in termini generali in un precedente articolo, mentre il profilo generale di ledum palustre sarà nostra premura analizzarlo a breve, visto che uno degli utilizzi principali è contro le punture di zanzara.
Ma questi due rimedi, con l’aggiunta di Symphytum, sono in grado di essere efficaci quanto un gel di piroxicam per trattare l’osteoartrite?
È questa la domanda che si sono posti gli autori Fischer e Wan Haselen sulla rivista “Rheumatology”.
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Recentemente avevamo scritto di quanto le proprietà medicinali della Melissa officinalis fossero sotto la lente d’ingrandimento degli esperti.
Questi hanno cominciato a dimostrare quanto e su quali disturbi le proprietà di Melissa siano utili: finora si sono riscontrati effetti positivi soprattutto nel trattamento di disturbi gastrointestinali o di quelli legati all’ansia, ma, come detto, questi estratti si stanno addirittura candidando come terapia di accompagnamento contro il morbo dell’Alzheimer.
L’interesse per Melissa è dunque tale e articolato che, recentemente, sono uscite delle anticipazioni su un nuovo interessante studio, previsto in pubblicazione per il prossimo giugno. Questa volta, Melissa viene messa alla prova al cospetto dei tanto vituperati grassi nel sangue.
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L’omeopatia, si sa, utilizza dosi di farmaco estremamente diluite e per questo si crede che sia scevra di effetti collaterali.
Se questo è un punto di forza dell’omeopatia, è anche una delle questioni che viene spesso addotta per dimostrarne la non-efficacia, del tipo “se una terapia ha effetto, allora deve avere anche effetti collaterali”.
Lungi da noi, come sempre, il voler dimostrare l’efficacia o meno dell’omeopatia, ci permettiamo solo di riportare una revisione della letteratura scientifica condotta agli inizi di quest’anno da Stub e Musial che ha voluto analizzare e distinguere effetti avversi, reazioni avverse e aggravamento omeopatico.
Infatti, nella pratica omeopatica è frequente il fenomeno dell’aggravamento terapeutico.
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