In un precedente articolo avevamo discusso sull’utilità di praticare un’adeguata attività fisica per il benessere di numerose parti del nostro corpo: dal sistema cardiocircolatorio, all’umore passando per la coordinazione e la salute intestinale.
Non avevamo però approfondito “quanto” esercizio fisico è bene fare.
Ovvio che questo discorso che ci apprestiamo a condurre non è da intendersi rivolto a chi fa sport a livello agonistico, ma piuttosto è rivolto a chi pratica per diletto o per ricercare la miglior forma fisica dell’attività motoria.
Mai come nel caso dell’eservizio fisico sembra valido il detto “il troppo stroppia”.
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“Ginseng” è un nome comune che viene utilizzato per identificare un gruppo di piante accomunate dalle proprietà adattogene.
L’assunzione di queste piante riduce la sensazione di fatica fisica e aumenta in modo generico le performance cognitive ma senza effetto-rebound al termine dell’assunzione.
Tuttavia il solo termine Ginseng può risultare fuorviante. Esiste la specie cinese (Panax ginseng”), vietnatmita (panax vietnamensis), coreana (Panax pseudoginseng), giapponese (Panax japonicus), ma non si può dimenticarsi del ginseng siberiano (eleuterococcus senticosus), americano (panax quinquefolius), indiano (whitania somnifera), peruviano (Lepidium meynenii) brasiliano (Pfaffia paniculata) fino a quello dell’Alaska (echinopanax horridum).
Come si può notare dai nomi scientifici, la maggior parte di queste piante fa parte di generi e specie diverse. È lecito quindi aspettarsi anche proprietà, per quanto poco, diverse tra una pianta e l’altra.
Il Panax ginseng (il “classico” ginseng cinese) è una pianta erbacea perenne a crescita lenta appartenente alla famiglia delle Araliaceae. Il nome deriva dal cinese jen-cen, che letteralmente vuol dire “Corpo umano”. La radice carnosa del ginseng, dal caratteristico aspetto antropomorfo, sin dall’antichità ne ha fatto intuire i benefici per la salute complessiva dell’uomo.
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La musica, le canzoni accompagnano spesso momenti importanti della nostra vita. Dalla canzone che abbiamo utilizzato per la dichiarare il nostro amore, alla musica con cui abbiamo festeggiato una vittoria o il raggiungimento di un traguardo ambizioso…
La musica che ci consola dopo una delusione amorosa o allevia il dolore per la scomparsa di un caro…
E non solo per il dolore sentito a livello emozionale, la musica può aiutare anche per il dolore fisico.
Il controllo del dolore (fisico) è infatti rapida ascesa di importanza per quanto concerne la definizione delle “best practice” nelle cure mediche.
Per questo, tra le varie metodiche, Mondanaro e Loewy hanno voluto integrare gli abituali trattamenti con della musico-terapia, e valutarne l’efficacia in pazienti che si sottopongono ad interventi per dolore alla schiena.
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Se è vero che ogni professione ha il suo Santo patrono, forse anche la depressione ha il suo.
Potrebbe essere San Giovanni, non tanto per la vita e le azioni del Santo, quanto perché in questo periodo dell’anno (24 giugno – San Giovanni) fiorisce una pianta medicinale che ha assunto la dignità di farmaco per il trattamento della depressione: l’iperico.
Il nome scientifico dell’iperico, Hypericum perforatum, deriva da Hyper-eikon “pianta che cresce sulle vecchie statue” e da “perforatum”, dalle vescicole rosse che si notano sui petali del fiore. Gli antichi usavano questa pianta secondo la teoria delle segnature per curare le ferite. Infatti, facendo macerare i fiori in olio di oliva, si ottiene il cosiddetto “olio di iperico” utile oggi come allora per curare le ferite e per il suo potere antiinfiammatorio.
Ma per alleviare i sintomi della depressione non si utilizza questa preparazione, bensì l’estratto in toto delle parti aeree della pianta.
L’iperico ci da anche l’occasione di comprendere a fondo quanto il sia importante il fitocomplesso di una pianta: l’effetto antidepressivo non si riesce ad ottenere utilizzando una molecola in particolare presente nell’estratto, ma solo somministrando l’estratto in toto.
Infatti, i componenti attivi che si erano individuati (ipericina ed iperforina), presi singolarmente o sono troppo deboli (ipericina) o si degradano troppo velocemente (iperforina). Solo con la contestuale presenza dei flavonoidi presenti nella pianta si riesce a stabilizzare l’iperforina e potenziare l’effetto dell’ipericina.
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