Mai come nel caso della neuropatia, i sintomi possono essere diversi da persona a persona: non solo ci sono diversi tipi di neuropatia (post-herpetica e diabetica, tanto per citarne un paio) ma anche il/i tipo/i di nervo/i coinvolto/i produce cambiamenti nella comparsa della malattia.
Vi sono anche persone i cui sintomi sono così lievi che vengono trascurati e si curano solo quando il danno è oramai irreversibile.L’insorgenza dei sintomi è in genere lenta (anni), ma in alcune forme, in particolare la neuropatia focale, è improvvisa e di elevata intensità.
Per cominciare a sbrigliare la matassa, Nayak e Oberai si sono concentrati su un particolare tipo di neuropatia: la polineuropatia diabetica simmetrica distale.
Questa forma di neuropatia colpisce i soggetti diabetici (da cui il nome), e può portare ad una condizione detta “piede di Charcot”. In questa situazione, il soggetto diabetico perde la sensazione dolorosa a livello dell’articolazione e anche la posizione nello spazio, diventando quindi più soggetto a traumi.
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Urtica dioica o Urtica urens? Sono i due nomi con cui si identifica la stessa pianta: la “comune” ortica.
I due nomi nascono da due peculiarità della pianta: la prima, “dioica”, dal fatto che esiste l’ortica “maschio” e l’ortica “femmina” (come per il gingko biloba) ; la seconda dalla sensazione “urente” che consegue il contatto con le foglie.
La sensazione di bruciore è determinata dalla rottura dei peli silicei sulla superficie della foglia. I peli, rompendosi, creano delle micro-lesioni cutanee nelle quali iniettano sostanze urticanti (istamina, acido formico, etc).
Le proprietà urticanti dell’urtica non sono solo fastidiose: anzi! Uno studio condotto da Randall nel 2000 ha evidenziato come l’applicazione di una foglia di urtica su dita artrosiche riesca a ridurre sensibilmente il dolore. Questo applicando una foglia fresca sulla parte dolente una volta al giorno per una settimana.
Le foglie possiedono interessanti proprietà antiinfiammatorie, grazie al contenuto di flavonidi che acidi che inibiscono la sintesi di prostaglandine e leucotrieni.
Inoltre, possono essere utilizzate come diuretico, con un’azione tanto importante da riuscire a ridurre anche la pressione sistolica.
Se le foglie, benchè con le interessanti proprietà di cui sopra, sono state soppiantate da altre piante nella pratica fitoterapia e conosciute più come ingrediente culinario (chi ha detto “canederli alle ortiche”?), le radici stanno trovando sempre più applicazioni.
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Un recente comunicato dell’EMA (European Medicine Agency) ha portato alla ribalta una nuova opportunità terapeutica per cercare di allungare l’aspettativa di vita dei malati di Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA).
La SLA è una malattia neurodegenerativa, nella quale la progressiva morte dei neuroni che controllano i muscoli conduce ad uno stato di atrofia muscolare fatale.
Sebbene non sia ancora chiara la patogenesi della malattia, appare ad oggi evidente che non si può identificare una singola causa, ma siamo piuttosto davanti ad una malttia multifattoriale dove fattori sia genetici che ambientali concorrono nell’insorgere della malattia.
I segni della malattia si manifestano sempre più evidenti via via che i neuroni motori che sopravvivono non riescono a compensare il lavoro dei neuroni morti e consistono in progressiva debolezza muscolare fino all’ atrofia, spasticità, disartria, disfagia e compromissione dei muscoli repisratori.
La prima descrizione della malattia risale al 1860 ad opera del neurologo francese Jean-Martin Charcot (da cui l”altro nome della SLA”: Malattia di Charcot), che nel 1874 iniziò ad usare il termine sclerosi laterale amiotrofica.[11] La condizione salì agli onori della cronaca quando, nel 1939 coltpì un famoso giocatori di baseball americato, Lou Gehrig.
Ad oggi, la terapia di elezione per la SLA è il Riluzolo.
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Da sempre si è sostenuta l’efficacia dell’attività fisica (moderata!) per il mantenimento dell’ottimale stato di salute.
Pressione arteriosa, peso corporeo e prevenzione delle malattie degenerative sono solo alcune delle proprietà che vengono attribuite al “semplice”esercizio fisico.
Quel che non si sapeva, è che l’attività fisica può portare a cambiamenti benefici anche nella composizione della flora batterica intestinale.
È quanto appare evidente dall’articolo (pubblicato il 5 Marzo 2017) di Monda e Villano.
Il tratto gastrointestinale dell’uomo è infatti abitato da una grande varietà di probiotici, che giocano un ruolo protettivo, strutturale e metabolico sulla mucosa intestinale.
Il microbiota intestinale funge da barriera per le cellule intestinali e provvede a ricavare nutrienti dal cibo, sviluppo epiteliale e regolazione del sistema immunitario.
Le evidenze scientifiche evidenziano che modifiche della dieta possono selezionare questo o quel ceppo batterico, modificando quindi il processo digestivo e i “rapporti di forza” tra batteri e quindi la funzionalità metabolica del microbiota intestinale. Queste non sono modifiche che coinvologono solo la funzione digestiva del nostro organismo, ma possono modificare lo stato di salute e rallentare o accelerare processi patologici.
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