La musica.
Per qualcuno, svago e divertimento…
Per altri, fondamentale per “stendere I nervi”..
Per alcuni, mezzo di espressione…
Per tutti: terapia!
Pensiamo, per esempio, allo stato di ansia in cui ci troviamo prima di un intervento o prima di un esame stressante (come la PET): non è un caso se nelle sale d’attesa viene diffusa musica da meditazione.
Lee e Chang, hanno esaminato attentamente la questione, dividend I pazienti in attesa di un esame PET in due gruppi: metà dei pazienti sono stati introdotti in una stanza di attesa dove hanno ascoltato 30 minuti di musica da meditazione, mentre il gruppo di controllo è rimasto 40 minuti steso a letto, senza musica.
Ebbene..
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Ebbene sì, il nome Ippocastano (Aesculus hippocastanum) non a caso ricorda il cavallo: “hippocastanum” , di derivazione greca, sta a significare castagna del cavallo e fa riferimento all’uso primordiale che se ne faceva per curare la tosse dei cavalli.
Il maestoso albero che fiorisce in questo periodo (aprile maggio) con dei riconoscibilissimi fiori bianchi piramidali non è “indigeno”, ma originario del’antica persia, fu importato in Europa dai Turchi nel XVI secolo.
Non avevano sbagliato di tanto gli antichi, infatti accanto alle note proprietà venotoniche, l’ippocastano presenta anche azione anti-edemigena ed antifiammatoria.
Infatti, se è riconosciuta l’efficacia dell’escina a livello capillare per aumentarne la resistenza e ridurne la permebilità (rafforzando la parete vascolare), è altresì vero che questa sostanza riesce a ridurre la formazione di edema nella fase iniziale dell’infiammazione.
Arrivando a breve la stagione calda, segnaliamo l’importanza dell’ippocastano per il trattamento dell’insufficienza venosa cronica (detta “gambe pesanti”), la cui incidenza aumenta grandemente in estate poiché il caldo provoca fenomeni di vasodilatazione che accentuano il gonfiore, l’edema ed il dolore nei casi dove il ritorno venoso non è ottimale.
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È in Antica Grecia he si ha la prima definizione di “Farmaco” come sostanza in grado sia di “benificare” che di “maleficare” a seconda della dose e dell’uso.
Nel V-IV secolo a.C. si trovano le prime indicazioni botaniche sulla raccolta della “droga” (parte attiva) delle piante: le radici sono da raccogliersi in collina, poiché più secche e con più principi attivi, oppure dei fiori vicini agli stagni perché più ricchi d’acqua e più dolci.
Personaggio di spicco di quel periodo è Dioscoride, che scrive il “De Materia Medica”, una raccolta di piante in cinque libri, frutto di sperimentazione ed osservazione, con descrizioni, sinonimi, effetti, preparazioni ed utilizzi.
Nasce quindi la prima idea di non utilizzare la pianta “tal quale”, ma che alcune modifiche o, come li chiameremmo oggi, “estratti” o “medicinali” possano essere più efficaci e più pratici da utilizzare.
L’autore descrive l’Ácopon, unguento con eccipienti grassi da scaldare come olio, cera e miele per le malattie articolari, oppure l’ Artreriachè, pillole da sciogliere in bocca con oppio e miele per le malattie da raffreddamento.
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Ebbene sì, sembra proprio anche i nostri antenati preistorici apprezzassero molto il gusto rinfrescante del sambuco!
Nelle stazioni preistoriche dell’Italia settentrionale e della Svizzera, sono stati ritrovati grandi ammassi di bacche di sambuco in quelle che si possono immaginare essere delle antiche “cisterne di fermentazione”.
Il succo delle bacche è dotato di una valida azione antinevralgica: alcuni studi (per la verità con un po' di anni sulle pagine) riportano che l’assunzione di 20g di frutti di sambuco possano determinare la scomparsa del dolore al nervo trigemino in solo 10-15 minuti (per i casi acuti). Questi effetti si possono facilmente attribuire alla presenza di molte vitamine del gruppo B: tiamina (Vitamina B1), riboflavina (Vitamina B2), nicotinamide, vitamina B6, acido pantotenico (Vitamina B5) oltre all’acido folico e alla biotina (Vitamina H).
La “ricetta” moderna dello sciroppo di sambuco utilizza invece i fiori, che si trovano da metà maggio fino agli inizi di giugno (Le bacche maturano invece ad agosto)
I fiori di sambuco, grazie al loro contenuto di flavonoidi, mucillagini e tannini, esercitano nell’organismo un’azione diaforetica e possono trovare impiego nei reumatismi, nelle malattie da raffreddamento accompagnate da febbre e nelle patologie dell’apparato respiratorio in genere.
Ma vediamo al sodo con alcune ricette…
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