È in Antica Grecia he si ha la prima definizione di “Farmaco” come sostanza in grado sia di “benificare” che di “maleficare” a seconda della dose e dell’uso.
Nel V-IV secolo a.C. si trovano le prime indicazioni botaniche sulla raccolta della “droga” (parte attiva) delle piante: le radici sono da raccogliersi in collina, poiché più secche e con più principi attivi, oppure dei fiori vicini agli stagni perché più ricchi d’acqua e più dolci.
Personaggio di spicco di quel periodo è Dioscoride, che scrive il “De Materia Medica”, una raccolta di piante in cinque libri, frutto di sperimentazione ed osservazione, con descrizioni, sinonimi, effetti, preparazioni ed utilizzi.
Nasce quindi la prima idea di non utilizzare la pianta “tal quale”, ma che alcune modifiche o, come li chiameremmo oggi, “estratti” o “medicinali” possano essere più efficaci e più pratici da utilizzare.
L’autore descrive l’Ácopon, unguento con eccipienti grassi da scaldare come olio, cera e miele per le malattie articolari, oppure l’ Artreriachè, pillole da sciogliere in bocca con oppio e miele per le malattie da raffreddamento.
La medicina occidentale trova le sue radici in due personaggi quali Ippocrate (con la teoria degli Umori 400 a.C.) e Galeno (129-201d.C.).
In particolare, Galeno (da cui deriva il termine “preparazione galenica”, ovvero il preparato medicinale fatto ad-personam) sviluppa la medicina osservando direttamente le piante nel loro sviluppo e preparando in prima persona i farmaci.
Galeno cerca di eliminare il rapporto medicina-magia, calcolando la dose persona per persona ed escludendo un “intervento sovrannaturale” per la risoluzione della patologia.
L’uso di farmaci “ad personam” gli consente di preparare rimedi accessibili a tutti: mirra, incenso e cardammomo saranno utilizzati dai ceti abbienti come antisettici e antiifinammatori, per i ceti più poveri l’effetto sarà dato da cipolla, aglio o cavolo nero.
Uno dei preparati più famosi del medico greco è il “Galeno”, una tintura di oppio e alcool, utilizzata per placare i dolori.
La concezione medica di Galeno, basata sulla teoria degli Umori e sul concetto che la medicina deve essere affiancata all’etica, alla logica e alla fisica, ha dominato la cura del malato fino al 1700.
I Romani dal punto di vista medico sono discepoli dei Greci, ed in particolare conservano (almeno fino agli studi di Galeno) una forte correlazione tra medicina e religione (o meglio magia).
I rimedi utilizzati nell’antica Roma derivano dalla Scientia herbarum e sono, ad esempio: Lana intinta in una mistura di olio, aceto, zolfo, resina e sodio per la lombalgia, Menta e ruta per le ulcere, Cavolo nero come panacea, Vino di ginepro per la sciatica.
Una trattazione più completa dei rimedi e delle piante si ha con l’opera “ Naturalis Historia” di Plinio il Vecchio, completata nel 77d.C. di cui i libri 20-27 parlano di fitoterapia, con un’immensa mole di ricette, prescrizioni tra cui la teriaca: un antidoto la cui formula non è stata ancora chiarita, che oltre a numerose piante, conteneva anche teste di vipera.
Successivamente, con le invasioni barbariche ed il dominio Longobardo ritorna in auge l’aspetto “magico” delle piante.
Ad esempio, la quercia era sia un albero sacro, che dotato di proprietà astringenti (poiché, oggi sappiamo che produce sostanze dette tannini) e lenitivo per la cute e veniva usato internamente come assorbente intestinale.
... to be continued
Luca Guizzon