E noi che abbiamo aspettato il 2012 per avere i primi preparati a base di cannabis...
Ci sarebbe bastato analizzare alcuni integratori per scoprire che una aciletanolamina (la palitoiletnaolamide o PEA), scoperta ancora nel 1950 nel tuorlo dell’uovo, agisce come analogo dell’anandamide, ovvero come un cannabinoide.
Infatti, questa molecola attiva i recettori per endocannabinoidi di tipo 2 (CB2) (come il cannabidiolo, o CBD, presente nel Bediol o nel Bedrolite) e di tipo 1 (come il tetraidrocannabinoide, o THC, del Bediol e Bedrocan) esercitando un’interessante azione antiinfiammatoria e antidolorifica.
Inizialmente la PEA era stata identificata come agente antiallergico e antiinfluenzale, questo perché in grado di ridurre l’infiammazione periferica (inibendo la COX2) e la de-granulazione dei mastociti (responsabili della risposta allergica).
Gli ultimi studi suggeriscono un’efficacia di questo composto in molte aree terapeutiche, come gli eczemi, il dolore, il prurito e la neurodegenerazione, senza particolari effetti collaterali.
La PEA, una volta assunta per via orale, si distribuisce soprattutto a livello cerebrale e cardiaco, con una preferenza per l’ipotalamo (dove può rilassare la muscolatura liscia, regolare la pressione cardiaca, l’appetito, etc).
La palmitoiletanolamide è utilizzata prevalentemente in forma ultra micronizzata. Questo consente un miglior assorbimento a livello intestinale e ha dimostrato un effetto antiinfiammatorio maggiore rispetto la PEA “normale”.
Come abbiamo detto, PEA è in grado di agire su numerose forme dolorifiche ed infiammatorie, prima tra tutte la sciatalgia (“sciatica”) e la sindrome del tunnel carpale.
Entrambe le sindromi sono dovute ad una compressione meccanica del nervo interessato e, proprio a causa di questa componente “meccanica”, sono molto dolorose e invalidanti.
Il trattamento convenzionale spesso prevede farmaci antidolorifici o antiinfiammatori, ma l’analisi degli studi clinici effettuata da Kopsky, ci permette di evidenziare come la palmitoiletanolamide sia in grado sia di esser un efficace trattamento come tale (riduzione di oltre il 50% del dolore), sia un’ottima integrazione ai farmaci tradizionali. Non solo, in certi casi (vedi: pregabalin, farmaco per dolore neuropatico) il PEA si è rivelato superiore al farmaco convenzionale.
Ma non solo nei confronti dei farmaci antidolorifici, l’efficacia del PEA è stata valutata anche nei confronti dell’ibuprofene (principio attivo antiinfiammatorio) per il trattamento dell’infiammazione mandibolare. I pazienti hanno ricevuto per 2 settimane o 300mg di PEA mattina e sera, oppure 600mg di ibuprofene, 3 volte al giorno.
Ebbene, la riduzione del dolore e la funzionalità mandibolare è stata significativamente migliore nei pazienti trattati con palmitoiletanolamide, rispetto ai pazienti trattati con ibuprofene.
La domanda sorge ora spontanea: per tutte queste capacità antidolorifiche che “scotto” bisogna pagare?
La PEA, anche a dosi elevate (600mg per 2 volte al giorno per 1 mese), non ha riportato alcun effetto collaterale, anche se associata ad altri trattamenti antidolorifici.
O meglio, gli effetti collaterali, se c’erano, erano dovuti agli antidolorifici!
Luca Guizzon
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