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Fitoterapia

Attorno alla liquirizia girano leggende e opinioni di ogni tipo, che vanno da "elisir di lunga" a "radice altamente tossica".

Come spesso accade in casi simili, gli estremi sono del tutto fuorvianti, anche se un piccolo elemento di verità è sempre presente. È vero infatti che la liquirizia può presentare alcuni effetti collaterali, ed è per questo sconsigliata a chi soffre di ipertensione, epatite, cirrosi epatica o insufficienza renale.

Curiosamente poi, è meglio assumerla se si ha una particolare predilezione per le banane. Un uso massiccio di estratti alla liquirizia infatti porta alla perdita di numerosi sali minerali, ed in particolare del potassio. Ecco perché solitamente gli esperti consigliano di non superare mai le 6 settimane di terapia e di accompagnarla con una dieta ricca di potassio.

Al di là di queste precauzioni però, la liquirizia si sta rivelando molto utile per una serie di problemi dell’organismo.

Non è solo usata come aromatizzante infatti, ma grazie al suo potere antiinfiammatorio e antispasmodico viene spesso assunta contro gastriti e altri disturbi dell’apparato digerente. Ma è sul fegato che si stanno concentrando le ricerche degli esperti, in questo periodo.

In un suo famoso aforisma, Pascal paragona l’uomo ad una canna al vento, per descriverne l’assoluta precarietà e la dipendenza da tutto ciò che lo circonda.

Se la canna è per eccellenza qualcosa di precario dunque, immaginate quanto lo possa essere un animaletto che a questa si aggrappa: sembra destinato ad essere completamente in balìa degli eventi.

Tuttavia, chiunque abbia mai avuto a che fare con i pidocchi sa che non è proprio così: questi parassiti riescono a restare aggrappati ai capelli in modo a dir poco sorprendente. Per liberarsi da questi insistenti ospiti si è provato dunque di tutto: tra i tanti, il metodo tradizionale più efficace sembra essere quello dello shampoo d’aceto, che però non funziona in tutti i casi e lascia sempre un odore sgradevole sulla cute.

Ecco perché si sono studiate le opzioni che ci arrivano dal mondo naturale, sfruttando i principi attivi vegetali più appropriati.

Alluce, illice, trillice, pondulo e minulo sono i nomi delle dita del piede.

O meglio, così vuole una tradizione recente: a parte l’alluce, questi nomi mancano di una storia documentata e sono probabilmente un’invenzione di questi ultimi anni, utili come curiosità per stupire gli amici o per scrivere l’incipit di un articolo in cui si parla di piedi.

Ma questo è solo il ‘dove’; per quanto riguarda il ‘cosa’ bisogna concentrarsi sulle unghie: può capitare infatti di notare in una qualsiasi delle dita del piede una certa macchia scura, di cui proprio non si riesce a ricordare quella volta in cui si è andati a sbattere.

Ebbene, può essere che quella macchia non sia una semplice botta, ma un fungo. È in casi come questo che la fitoterapia propone l’uso di estratti di tea tree.

La piantaggine è una delle erbe più comuni nel continente euroasiatico.

Poiché è sempre cresciuta copiosa lungo le strade, nel Medioevo si pensava servisse proprio per i problemi di deambulazione: distorsioni, piaghe e affaticamento in genere.

Il nome poi parla chiaro, perché popolarmente si è sempre pensato derivasse dal latino plantam tangere, ossia “toccare la pianta, pianta da toccare”. Già al semplice tocco, in altre parole, la piantaggine alleviava le fatiche dei viaggiatori.

Si tratta di una ricostruzione posticcia, naturalmente. Ma una particolarità la piantaggine ce l’ha: è ricca di mucillaggine, una glicoproteina polare appiccicosa, abbastanza comune nel mondo vegetale ma qui presente in grande quantità.

Questo prodotto viene spesso usato come efficace e potente lassativo: a contatto con l’acqua forma infatti un gel voluminoso, che può servire per aumentare il volume delle feci. Oltre a questo, piantaggine ha mostrato effetti contro le malattie dell’apparato respiratorio (asma in particolare).

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